Libri: Dream Brother, Jeff e Tim Buckley
- Michele Viviani
- 25 ago
- Tempo di lettura: 16 min
Aggiornamento: 26 ago
In questo post offro una presentazione del libro Dream Brother, vita e musica di Jeff e Tim Buckley, di David Browne (Giunti, Firenze 2001): sarà l'occasione per proporre una guida all'ascolto del contributo di questi artisti. L'edizione italiana del libro è attualmente fuori catalogo: è reperibile usato, oppure - io ho fatto così - tramite le biblioteche.

La struttura del post è la seguente:
Un ricordo prima di iniziare
Chi sono Jeff e Tim Buckley
La struttura del Libro
I contributi principali
Guida all'ascolto
Tim
Jeff
Un ricordo prima di iniziare
Per tanti giovani ed appassionati di rock l'apparizione - alla metà degli anni '90 - della figura di Jeff Buckley fu un'epifania. In un periodo già ricco di nuova e grande musica - dai Nirvana a Tori Amos - la sua voce, le sue interpretazioni ed i suoi brani erano qualcosa di unico ed inaspettato. Io appartenevo tuttavia ad una minuscola e specifica frazione, tra quelli colpiti dalla sua arte: ero tra chi già conosceva la musica di suo padre Tim, cantautore folk-rock-sperimentale degli anni '60.

Ricordo benissimo quando vidi per la prima volta il video di Grace e, pur avendo mancato di leggere il nome dell'artista, pensai immediatamente di aver visto il figlio di Tim Buckley, tanta la somiglianza fisica e vocale tra i due. Era la mattina del giorno del mio compleanno, il 30 agosto del 1994, gli amici venivano a trovarmi e li avrei recuperati alla stazione: dissi loro d'aver visto in TV il figlio di Tim Buckley, mi avrebbero regalato il disco Metrodora di Demetrio Stratos ed una maglietta verde con la frase "i decenni volano, sono certi pomeriggi che non passano mai". Porto ancora quella maglietta. Grazie.
Chi sono Jeff e Tim Buckley
Jeff Buckley nato nel 1966 - chitarrista e cantante - è stato un musicista rock statunitense dalla breve e folgorante carriera, avviata nel 1993 - dopo diversi anni di misconosciuto professionismo - e chiusa nel 1997, quando affogò accidentalmente nel Wolf River a Memphis, durante un bagno serale. Del 1993 è l'EP Live At Sin'è, emblema del Jeff Buckely interprete intimo voce&chitarra, del 1994 il celeberrimo Grace, album curatissimo e sfaccettato che lo consegna alla storia del rock, del 1998 il postumo ed incompiuto, Sketches for my Sweetheart the Drunk, poco noto, ma ricco di musica di grande qualità.
Tim Buckley - padre di Jeff - nato nel 1947, ha operato tra la seconda metà degli anni' 60 e la prima metà dei '70. Cantante e chitarrista anch'egli, è stato una figura tormentata tanto nella vita quanto nell'arte: è morto per overdose a 28 anni, ha pubblicato il primo album a 19 ed ha lasciato una consistente discografia (9 album in studio) che va dal folk-rock di Goodbye and Hello (1967), fino a Starsailor (1970) - uno dei miei album preferiti - con i suoi incredibili brani free-form sintesi di jazz, rock e musica contemporanea. Tim abbandonerà Mary - la madre di Jeff - ancor prima della nascita del bambino, all'inseguimento di una carriera che non decollerà mai del tutto.
Jeff e Tim si vedranno poche volte, ma - come testimoniato dal libro di Browne - si evocheranno a vicenda in pensieri ed opere. Tim rimarrà una figura di culto, grazie alla qualità del suo lavoro: con il suo lascito artistico e con la mancanza della figura paterna Jeff farà i conti nel corso della sua vicenda musicale ed umana.
La struttura del libro
Il libro di Browne è stato pubblicato due anni dopo la morte di Jeff Buckley ed è redatto da un giornalista che ne aveva potuto apprezzare in prima persona l'arte ed i successi. Nella prefazione Browne si presenta come l'autore della "prima intervista importante" che Jeff Buckley rese - nel '93 per il New York Times - in seguito al successo che stavano riscuotendo le sue serate presso il Caffè Sin'è, ed alla firma di un contratto discografico con l'importante eticetta Columbia. Nonostante il libro sia realizzato quindi essenzialmente da un fan di Jeff, risulta un esauriente lavoro sia su Jeff che su Tim, cui viene dedicato uguale spazio ed impegno d'approfondimento. Si tratta di un libro che vuole offrire un percorso biografico dettagliato di entrambi gli artisti e - all'interno di quello - una presentazione del contributo musicale, con sintetiche, ma ponderate valutazioni. Queste intersecate biografie sono state realizzate partendo da una serie nutrita di interviste (200 dice l'autore) ed alla raccolta ed esame di materiali autografi (ad esempio i diari e le lettere di Jeff ).

Nel Prologo viene offerto il racconto dell'ultima giornata della vita di Jeff; il libro è poi suddiviso in una serie di capitoli a numerazione progressiva in cui si alternano le vicende dei due protagonisti. Per i primi tre capitoli si parla solo di Tim: della sua famiglia d'origine, della malattia mentale del padre reduce di guerra, del matrimonio contratto giovanissimo, dell'inizio delle avventure musicali, fino all'abbandono della moglie ed alla nascita di Jeff. A partire dal quarto capitolo si alternano quelli dedicati a ciascuno dei due musicisti fino all'ultimo - il ventunesimo - che s'intitola Jeff e Tim e che tratta dei due funerali. Leggiamo la scena in cui le ceneri di Tim vengono sparse in mare dall'amico Wess Young e dal figlio della sua seconda moglie Taylor:
"Da una piccola scatola di cartone Taylor estrasse le ceneri di Tim, conservate in un sacchetto di plastica chiara e chiuso con un filo metallico. Senza mostrare emozione aprì il sacchetto, versò le ceneri in mare e commentò ridendo: "Un gran bel modo di trattare il tuo vecchio". Young trovò la battuta perfetta: Tim avrebbe apprezzato il glaciale umorismo della situazione. Durante il ritorno, il motore della barca si guastò e i due dovettero essere rimorchiati a riva". (pag.302)
4. I contributi principali
Come si può apprezzare dalla citazione precedente si tratta di un libro documentato, che cerca però - dove possibile - di tradurre le informazioni rese dalle fonti in uno stile denso e narrativo. Questo lavoro letterario rende non solo piacevole la lettura, ma permette di far letteralmente saltar fuori dalle pagine il carattere dei due artisti, che sembrano prender vita di fronte a noi. Proprio per questo è difficile ridurre le personalità in poche righe: di Tim mi ha colpito l'energia fortissima che sprigiona dalla sua vicenda, di Jeff l'indole tortuosa e misteriosa, come avesse sempre qualche filo da dipanare per arrivare da un capo all'altro dei propri progetti e relazioni.
Sicuro di aver a che fare con artisti che rimarranno nella storia della musica Browne vuole darne uno spaccato a tutto tondo - pregi e difetti - piuttosto che contribuirne semplicemente alla mitologia. Non li vende: vuole farceli incontrare. Inevitabilmente - da fan - ho finito per apprezzare gli aneddoti che contribusicono alla mia personale epica: con entusiasmo ho scoperto ad esempio che Jeff - nel suo periodo di formazione professionale come chitarrista - ricevette i complimenti di Joe Pass, uno dei più grandi virtuosi della chitarra jazz. Il migliore attestato possibile, si può dire! A proposito di Tim sono stato felice di sapere del suo interesse per Cathy Berberian, la grande cantante di musica contemporanea, e per la musica musica di Stockhausen e Messiaen, che sono anche tra i miei eroi.
Il libro di Browne - proprio concentrandosi sugli aspetti biografici con dettaglio - finisce per offrire informazioni interessanti sull'industria discografica nei periodi di attività dei due artisti. Vengono raccontati i costi degli album, i guadagni dei musicisti, i meccanismi di aspettativa dei discografici. E' vistosa la differenza tra il mondo musicale della fine degli anni 60 - in cui è attivo Tim - rispetto agli anni '90 in cui si trova a operare Jeff. Tim incideva inizialmente per l'Elektra, la stessa etichetta dei Doors: i dischi venivano realizzati velocemente, prodotti con frequenza e a costi relativamente contenuti. Le pressioni dei discografici c'erano, ma su un orizzonte temporale relativamente rilassato che poteva offrire l'occasione per varie deviazioni. Jeff inciderà per la Columbia, che pur con la sua imponente storia (Billie Holiday, Dylan, Springsteen), in quel momento è soprattutto l'etichetta di Michael Bolton e Mariah Carey: due milioni di dollari sono i costi complessivi della produzione e promozione dell'album Grace e la quantità di persone, di fasi e di aspettative coinvolte è stata enorme.
Obiettivo del libro - visibile fin dalla sua struttura - è raccontare la stretta relazione tra la biografia di Jeff e quella di Tim: a partire dalla mancanza che tutti e due vivono della figura paterna. Sappiamo delle canzoni di Tim che parlano di Jeff (Dream Letter, I never asked to be your mountain), ma è soprattutto dell'importanza della figura di Tim per Jeff di cui il libro sa offrire prove importanti. Vediamone giusto alcune: sarà il padre che - pur in modo indiretto - pagherà a Jeff gli studi musicali, l'ascesa alla notorietà per Jeff inizia con la partecipazione ad una concerto-memoriale su Tim e - proprio per il timore di venir troppo associato al padre - Jeff chiese alla casa discografica di impedire ai giornalisti di fargli domande su di lui nelle interviste. Sappiamo ora - dai suoi diari e dalla ricerca di Browne - quanto in realtà pensasse a Tim e riflettesse sulla sua opera:
"Si, qualcuno mi ha spiegato di cosa parla Dream Letter. Con Mountain l'avevo capito da solo. Le sue canzoni non mi sono mai entrate dentro come invece è successo a gente che l'ha conosciuto. Ma nei suoi dischi lui è l'UNICA cosa pura e originale. Di questo sono sicuro. Saremo d'accordo su un sacco di cose, artisticamente. Dai dischi riesco immediatamente a capire ciò che lui percepiva come sincero e le stronzate che gli davano sui nervi. Potrei scommeterci la vita. E io AVREI DOVUTO suonare con lui. Joe Falsia mi da la nausea e anche tutti quelli che suonano negli ultimi dischi. Quei bravi professionisti mi fanno venire voglia di ADDENTARE CARNE CRUDA, rovinano così tante cose pregevoli. Non mi piace quella musica, ma ho cominciato a rispettarla" Lettera non inviata 1990 (pag. 215)
"Fate caso al piano elettrico di Lorca...Grande! e alla voce...Grande! Così funky. Quella canzone è un casino funky. Un delirio del sesso funk. Nel paese chiamato Tim Buckley...quello fu il grande Tim. Si, quello. Quando morirò, voi tutti dovrete ricordare che quando pensavo a mio padre provavo ammirazione per quel periodo. Lui e gli altri sono arrivati in posti che nessun riuscirà mai a raggiungere.. Gypsy Woman e Buzzin Fly mi stancano. Le apprezzo, ma non mi toccano chimicamente. Datemi The River, datemi Monterey cazzo, datemi Mountain. Non datemi il vagabondo di Morning Glory e tutti quei discorsi...ecco la mia opinione sul lavoro di mio padre". Diario 1995. (pag 141)
Guida all'ascolto
5.1 TIM
La vicenda artistica di Tim Buckley è quella di un musicista che nel corso di cinque anni - dal '66 al '70 - realizza sei dischi uno diverso dall'altro, in una frenetica ricerca espressiva che brucia nello stesso tempo artista e pubblico. L'insuccesso clamoroso del più innovativo dei suoi lavori (Starsailor del '70) porterà Tim ad accettare i compromessi proposti dai discografici che prima aveva strenuamente rifiutato: compromessi che non porteranno comunque il successo sperato, ma gli faranno realizzare tre dischi di qualità mediocre tra il '72 e il '74.
Tim Buckley (1966)
E' un album essenzialmente folk-rock, lo stile di maggior successo negli Stati Uniti in quel momento, i cui campioni erano i Byrds.

Browne (pag. 60-61) lo definisce "un primo passo verso la ricerca di una identità stilistica ed emotiva", con un canto già originalissimo "per quanto reminescente di uno stile folk-corale". I brani che Browne sottolinea sono quelli più cupi come - ad esempio - Song Slowly Song. A parer mio, proprio perchè di quello stile ombroso ci sarà abbondanza nei lavori successivi, è un disco da apprezzare per ciò che ha di specifico: brani ariosi come Wings, oppure Valentine Melody in cui si può apprezzare appieno il canto schiettamente tenorile del primo Tim.
Goodbye and Hello (1967)
Anche il secondo album può essere considerato nel solco del folk-rock, pur con acccenti di psichedelia, il nuovo stile connesso alla cultura hippie che esplode in quell'anno: l'anno di Sergent Pepper dei Beatles, per intenderci.

Il libro di Browne lascia ampio spazio al racconto della realizzazione dell'album (pag. 86-90) che costituirà il lavoro di Tim più impegnativo sotto il profilo produttivo e di maggior successo. Browne lo ritiene un album "troppo elaborato e ricercato", in cui i testi "ammiccano alla grande poesia", ma che "a dispetto di quella pretenziosità contiene momenti splendidi e una notevole varietà stilistica". In realtà, scorrendo singolarmenti i brani, Browne finisce per lodarli tutti. E' l'album in cui Buckley può essere maggiormente apprezzato come autore di canzoni: personalmente ne suggerisco due l'incalzante Pleasant Street e la struggente Phantasmagoria in Two. Un discorso a parte merita la canzone I Never Asked to Be Your Mountain: dal punto di vista stilistico siamo di fronte a un brano totalmente originale e dal punto di vista vocale ad una delle interpretazioni più trascinanti di Tim. E' un brano dedicato alla moglie Mary - da poco abbandonata - ed al picccolo Jeff e sarà proprio il brano che Jeff interpreterà nel memorial del padre a New York che gli darà la prima fama.
Happy Sad (1968)
E' l'abum del primo cambio stilistico: Tim si stacca bruscamente dallo stile rock ed inizia ad interessarsi al Jazz. Ci troviamo quindi di fronte ad un lavoro - si può dire - folk/jazz registrato con una band affiatastisima e caratterizzata dal suono del vibrafono, del contrabbasso e delle percussioni.

E' forse il lavoro di Tim per cui Browne ha i giudizi più lusinghieri: "un perfetto distillato del Tim Buckley uomo e artista" "un lavoro squisito, delicato, da srotolare delicatamente come un tappeto prezioso" (pag.122). Sottolinea il cambiamento drastico di vocalità: TIm archivia il suono da "tenore irlandese" per una voce "grave e profonda" (pag.122), ma anche - va aggiunto - per un uso aggressivo del falsetto. Il giudizio di Jeff rispetto a questo album è meno entusiastico, dichiarando che i brani di questo periodo lo annoiano. Personalmente, pur avendo amato moltissimo questo lavoro per il suono e l'interplay tra i musiciti, mi trovo oggi più vicino al giudizio di Jeff che a quello di Browne. I due pezzi che consiglio per farsi un'idea dell'album sono Strange Feelin' che inizia con una citazione da All Blues di Miles Davis e Dream Letter, dedicata nuovamente a Jeff.
Lorca (1970)
L'ultimo disco registrato da Buckley per l'Elektra - ma uscito un anno dopo la sua incisione - costituisce un nuovo brusco cambiamento stilistico. Stimolato dal nuovo Jazz elettrico di Miles Davis - in particolare dall'album In a Silent Way - Tim abbandona la tradizionale forma canzone muovendosi verso brani che non han nulla della normale struttura strofa-ritornello e si allontanano in modo ancor più drastico dalle convezioni sonore del rock. Ci troviamo di fronte a quello che - giustamente - Browne ritiene un esperimento (pag 144-147):

"Lorca è essenzialmente un esperimento. Gli arrangiamenti, così come le parole, sono talora troppo scheletrici..... Dal punto di vista della composizione l'album rappresenta un passo indietro rispetto ad Happy Sad, ma quelle che il mondo chiama canzoni non interessavano più a Tim. Lorca mette però in mostra una voce che rivela finalmente tutta la sua estensione....il definitivo testamento della forza e della versalità delle corde vocali di Tim". Il giudizio di Jeff, come si è detto, è invece quello di considerare specificamente il brano Lorca come uno dei vertici dell'arte del padre. Direi che condivido il giudizio d'entrambi: quello specifico brano credo abbia una qualità unica che lo mette tra i contributi più interessanti dell'arte di Buckley, ma il resto del disco - sembra effettivamente una versione incerta di cose che nel disco precedente risultavano compiute. Tuttavia la centratura vocale e la carica intepretativa di Tim in queste registrazioni sono impressionanti, in grado di rendere magnetico un brano a dir poco scarno come Driftin', in cui il resto della band manifesta una totale incertezza sul da farsi.
Blue Afternoon (1969)
Pubblicato prima di Lorca, ma realizzato dopo, Blue Afternoon costituisce il primo album per l'etichetta creata da Frank Zappa cui Tim si lega, condividendo con il grande Frank il manager Herb Cohen. E' un disco - come dice Browne (pag. 166-167) - di compromesso, per soddisfare la richiesta di un album più commerciale e realizzato partendo da brani scartati dalla lavorazione dei dischi precedenti: nonostante ciò Browne ritiene che "quasi tutte le otto canzoni sono piccoli gioielli".

Stilisticamente l'album sembra collocarsi a metà strada tra il folk-rock dei primi due dischi e il folk-jazz di Happy Sad, non avendo nulla del "furore creativo" presente in Lorca e soprattutto nel successivo Starsailor. Personalmente è un album che non ho mai amato del tutto, trovandolo privo sia della qualità compositiva di Goodbye and Hello, che dell'interplay e del suono di Happy Sad: è sicuramente più conciso di quest'ultimo e contiene comunque diversi buoni pezzi tra cui The River, che Jeff mette tra i suoi preferiti.
Starsailor (1970)
E' il terzo album che Tim pubblica in meno di un anno e Browne lo ritiene "il più difficile": un album in grado di oscillare tra "sofisticato intellettualismo e libidinosa sensualità" come nel brano di avvio Come Here Woman. "La complessità del disco cresce brano dopo brano.....la voce lascia l'impressione indelebile per potenza ed estensione...Con Starsailor TIm dimostrava di essere un cantante di statura inarrivabile e le possibiltà che gli si schiudevano davanti (canzone colta, free jazz, teatro musicale, R&B) parevano infinite". (pag. 171-172)
A pare mio ci troviamo - insieme a Rock Bottom di Robert Wyatt - al miglior disco di sempre di commistione tra canzone rock e jazz sperimentale.

Una linea stilistica che continua ancora oggi con ottimi lavori quali Code Girl di Mary Halvorson o Song of Silver Geese di Jen Shyu. Come consiglio d'ascolto, oltre alla già citata Come Here Woman, vorrei suggerire Montery (il brano preferito da Jeff), Starsailor che rappresenta il ponte con le sonorità della musica contemporanea e Jungle Fire, un brano la cui prima parte sembra scritta da Benjamin Britten e la seconda è una scatenata corsa funky. Il disco contiene anche la ballata Song to the Siren: forse il brano più noto della discografica di TIm, tramite una celebre cover realizzata da This Mortal Coil nel 1984 (alla voce Elisabeth Frazer) ed utilizzata da David Lynch nel film Strade Perdute (1997).
I dischi finali: Greetings from L.A (1971), Sefronia (1973), Look at the Fool (1974)
L'insuccesso clamoroso di Starsailor e la pressione dei discografici costringerà TIm prima ad uno stop e poi ad un serie di dischi in cui ogni ambizione sperimentale sembra sparire per offrire prima un R&B stereotipato, poi un tentativo - assai poco riuscito - di ritorno a una sonorità cantautorale. Sono album che non sono mai riuscito ad ascoltare con piacere e di cui non possiedo le copie. Preferisco quindi interropemre qui la guida all'ascolto agli album di TIm, segnalando solo il brano Sefronia The Kings Chain che Jeff amava cantare.
5.2 Jeff
La grande qualità dell'artista - e la mole ridotta del contributo che ha potuto lasciare - fanno si che raramente mi sia capitato di leggere una valutazione critica puntale dei lavori di Jeff: si trovano piuttosto le testimonianze di una venerazione incondizionata, cui il libro di Browne tenta - a volte - di porre un freno con qualche intelligente distinguo sul valore dei dischi e dei singoli brani.
Live at Sin'é (1993)
Questo album dal vivo - licenziato all'epoca come Ep di 4 brani - fu realizzato dalla Columbia prima del debutto vero e proprio, per saggiare il terreno e dare testimonianza delle serate di grande successo che Jeff aveva tenuto in un piccolo caffè di Manhattan: serate in cui interpretava alcuni brani propri ed un ampio repertorio di cover, accompagnato dal suono della sua chitarra elettrica.

Browne ne racconta nel dettaglio la genesi (pag. 181-183) e ne offre una valutazione onesta (pag.202) sottolineando che il disco "rimane al di sotto delle aspettative": questo risultato viene attribuito dal giornalista alla macchinosità della realizzazione ed alla scelta specifica delle canzoni entrate nell'EP, per cui riteneva ci potessero essere scelte migliori. Oggi ne esiste una versione espansa di due CD edita nel 2003 che offre le registrazioni nella loro interezza e su questo album esprimo la mia opinione: i cd sono interessanti perchè testimoniano la verve da brillante intrattenitore che Jeff sapeva offrire. Tuttavia, nonostante la sua statura musicale, le interpretazioni vocali che offre non le ritengo al livello degli originali (che si trattti di Van Morrison, i Led Zeppelin o Edith Piaf) di cui sembrano appunto delle cover, raramente delle re-invenzioni (si veda cosa Abbey Lincoln è stata in grado di fare invece con Steve Wonder o Bob Dylan). Se dovessi salvare un brano - in totale accordo con Browne - sceglierei Calling You, assente nell'EP originale, ma presente nella versione espansa. Concludendo: se all'epoca era sicuramente eccentrico che un nuovo cantante proponesse vecchi successi, oggi - con la mole di cover presenti su youtube - l'effetto di freschezza di un'operazione del genere è del tutto smarrito. Quando nel concerto abbandona le cover per dedicarsi al suo repertorio originale - si veda soprattutto l'intro di Mojo Pin - si sente già il suono fantastico della sua voce&chitarra che farà grande il disco successivo.
Grace (1994)
Ci troviamo di fronte ad uno degli album più amati e criticamente acclamati degli anni '90. Un album dalla lunga e tortuosissima lavorazione - attentemente raccontata da Brownie nei capitoli 12 e 14 - un album che (pag. 213) " anche ad un ascolto superficiale mostra come gli sforzi compiuti, gli investimenti, il rimissaggio, fino ai momenti di più acceso tormento siano stati ampiamente ripagati....i pezzi si erano trasformati in una trama di sonorità impeccabili, dai quali trapelava tuttavia una straordinaria carica emotiva" .

Ascoltato a distanza di anni l'album Grace rimane un disco eccezionale per la cura dei particolari - grazie al lavoro del produtture ed ingegnere del suono Andy Wallace - e per le potenti dinamiche rese dall'eccellente sezione ritmica. Si tratta di un album piuttosto vario sotto il profilo musicale: vi si trovano i due originalissimi brani Grace e Mojo Pin, scritti in collaborazione con Gary Lucas; le ballate soul Last Goodbye e Lover Your Should Come Over che - insieme ai brani rock So Real, Dream Brother ed Eternal Life - constituiscono il vero e proprio contributo compositivo di Jeff. Nuovamente trovo diluenti, rispetto all'intensità lavoro, le tre cover offerte: la celeberrima Halleluja di Leonard Coher, il corale di Britten Corpus Christy Carol e Lilac Wine di Nina Simone, l'unico pezzo che puntualmente salto quando metto su il CD.
Sketches for My Sweetheart the Drunk (1998)
Pubblicato dopo la morte di Jeff è un doppio album "incompiuto": nel primo Cd è contenuto il risultato delle session realizzate con la band al completo e la produzione di Tom Verlaine, nel secondo Cd si trovano prevalentemente alcuni demo domestici realizzati dal solo Jeff sovraicidendo varie parti vocali e strumentali.

La valutazione di Browne del lavoro (pag. 307) sottolinea la complessiva riuscita delle session con Verlaine, pur rimarcando il carattere abbozzato di diversi brani. Sembra che - partendo dall'insoddisfazione manifestata da Jeff per i risultati fino al momento raggiunti - il giornalista non si senta di dare una valutazione del tutto positiva di ciò che ci troviamo in mano. La mia opinione è che si tratti invece - per quanto concerne le session con Verlaine - di un lavoro eccellente. Il suono della band ha meno dinamica e varietà rispetto a Grace, ma è molto compatto e scattante; la voce di Jeff è maturata: la trovo più piena che nel primo lavoro e con uno stile più asciutto che preferisco. I brani, che avrebbero forse richiesto ancora qualche limatura nella struttura, vanno dal rock intenso di Sky is a Landfill, Vancouver e Year of the Blonde Girls al soul riuscitissimo di Everybody Here Wants You, fino alle litanie di You and I e New Year's Prayer. Nel secondo Cd, di difficile ascolto per la poca qualità del suono, si intiusce la qualità potenziale di brani come Murder Suicide Meteor Slave e si apprezza la cover live di Satisfied Mind che venne suonata a funerale di Jeff.
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